N.3 – Anno 1 – Ottobre 2017
Opicapone: una nuova opzione terapeutica nel paziente con malattia di Parkinson
Fabrizio Stocchi
Università e Istituto di Ricerca a Carattere Scientifico, San Raffaele Roma
Introduzione
La malattia di Parkinson (MP), in termini estremamente esemplificativi, è caratterizzata dalla carenza di dopamina a livello del nucleo striato e della substantia nigra. Da un punto di vista terapeutico, i farmaci che stimolano il sistema dopaminergico sono utili per ridurre temporaneamente i sintomi motori (tremore, rigidità e bradicinesia) della malattia. La levodopa, precursore che viene convertito in dopamina una volta raggiunto il sistema nervoso centrale, è il più potente farmaco dopaminergico disponibile; prima o poi, tutti i pazienti affetti da MP devono ricorrervi per controllare i propri sintomi. Sfortunatamente, la maggioranza dei pazienti che risponde alla levodopa sviluppa complicanze motorie durante la terapia a lungo termine, che comprendono sia fluttuazioni motorie, cioè marcate oscillazioni tra stato di immobilità (OFF) e mobilità (ON), sia movimenti involontari, come discinesie (di picco o difasiche) e distonie (di picco o del mattino) (Tab. 1). Le complicanze motorie emergono gradualmente dopo mesi o anni di trattamento con levodopa; nel tempo possono diventare molto debilitanti e difficili da controllare con i trattamenti farmacologici. La patogenesi delle alterazioni della trasmissione dopaminergica, che costituisce la base delle complicanze motorie sviluppate a seguito della terapia prolungata con levodopa, è nota solo in parte. Studi condotti su modelli animali fanno ritenere che le variazioni farmacocinetiche, dovute alle diverse modalità di assunzione del farmaco, provochino un’alterazione della funzione dei gangli della base, con modificazioni della plasticità recettoriale caratterizzate generalmente da fenomeni di tolleranza e sensibilizzazione (reverse tolerance).
Fluttuazioni motorie e movimenti involontari levodopa-correlati
Le fluttuazioni motorie e le discinesie-distonie osservate nei pazienti affetti da MP traggono origine da cause legate sia alla farmacocinetica, sia alla farmacodinamica della levodopa. Infatti, nei primi anni di trattamento con levodopa, nelle fasi iniziali della malattia, i pazienti parkinsoniani godono di una buona motricità, che si protrae ben oltre il tempo di permanenza del farmaco nel sangue, che è di alcune ore. Con il proseguimento della terapia, tuttavia, questo tempo di efficacia clinica si accorcia sempre più, nonostante la farmacocinetica della levodopa non registri variazioni nel corso degli anni. Compaiono i primi movimenti involontari, di tipo difasico, che con il passare del tempo tendono ad accompagnare l’intero periodo di motricità (ON) del paziente. Inoltre, si vengono progressivamente a determinare due livelli plasmatici critici, uno che indica la soglia della motricità e uno che indica quella dei movimenti involontari. Queste due soglie delimitano un intervallo di concentrazione plasmatica che può essere definito “finestra terapeutica” (Fig. 1). Nei pazienti in stato avanzato di malattia, le due soglie sono molto vicine e la finestra terapeutica diviene strettissima, tanto che questi pazienti alternano fasi di buona motricità con movimenti involontari a fasi di totale acinesia parkinsoniana. Al restringimento della finestra terapeutica contribuiscono, non solo elementi legati alla farmacocinetica e alla fisiopatologia della malattia, ma soprattutto fenomeni dinamici. Infatti, la soglia di risposta motoria non varia consistentemente nel corso della malattia, mentre si accorcia la durata d’effetto del farmaco e si abbassa significativamente la soglia delle discinesie.

Farmacocinetica della levodopa
La levodopa è un aminoacido neutro sintetizzato dalla L-tirosina grazie all’enzima tirosina idrossilasi, che viene poi convertita in dopamina dalla DOPA-decarbossilasi. La tirosina idrossilasi è un enzima molto specifico che si trova soltanto nel cervello, nei gangli simpatici e nelle surrenali. Al contrario la DOPA-decarbossilasi è un enzima molto diffuso e poco specifico. La levodopa può inoltre essere trasformata in 3-O-metildopa dall’enzima catecol-O-metiltransferasi (COMT) presente soprattutto nel fegato e nei globuli rossi. La levodopa viene assorbita principalmente nell’intestino tenue prossimale e raggiunge il torrente ematico grazie a carrier attivi di barriera non saturabili. Dopo l’assorbimento, essa viene quasi completamente metabolizzata; soltanto l’1% viene escreto con le urine e il 2% con le feci. Il picco plasmatico (C-max) variabile da 0,25 a 2,5 μg/ml si ottiene dopo 30-120 minuti dalla somministrazione orale di 1 g di levodopa, che ha un’emivita di 1-1,75 ore.

Il metabolismo periferico della levodopa risulta inibito per circa l’80% dalla somministrazione degli inibitori delle DOPA-decarbossilasi (IDDC) periferiche (carbidopa, benserazide). In presenza degli IDDC, il metabolismo periferico della levodopa viene indirizzato verso le COMT. L’inibizione di questo enzima da parte di inibitori specifici delle COMT (ICOMT) può, quindi, aumentare l’emivita e la disponibilità della levodopa plasmatica. La levodopa non si lega alle proteine, di conseguenza ciò che può influenzare, parte libera e parte legata, non ha alcuna rilevanza clinica. La farmacocinetica della levodopa può essere influenzata da diversi fattori di tipo endogeno, esogeno e iatrogeno. Lo svuotamento gastrico, talvolta alterato nel paziente affetto da MP, e i fattori che lo regolano (assunzione di cibo, interazione con farmaci) rappresentano un elemento critico dell’assorbimento, influenzando in misura determinante la farmacocinetica della levodopa e quindi la risposta clinica. Infatti, il rallentato transito gastrico può ridurre la quota di levodopa biodisponibile, in quanto la levodopa, non venendo assorbita a livello gastrico, rimane essa stessa “imprigionata” nello stomaco (Fig. 2). Diversi alimenti possono condizionare la farmacocinetica della levodopa influenzando lo svuotamento gastrico. Livelli plasmatici più stabili di levodopa possono essere ottenuti infondendo direttamente il farmaco nel piccolo intestino mediante pompe infusionali. In questo modo si evita l’erraticità di assorbimento dovuta allo svuotamento gastrico e quindi si ottengono livelli più stabili e prevedibili. Alcuni farmaci possono indirettamente interferire con la levodopa aumentandone la disponibilità (alcuni antibiotici, procinetici) o diminuendola (anticolinergici, tamponanti gastrici). Soluzioni orali di levodopa possono migliorare l’assorbimento ma tale possibilità risulta limitata dalle caratteristiche di scarsa solubilità acquosa e degradabilità in soluzione della levodopa. La levodopa esterificata è molto più solubile e ha un profilo farmacocinetico migliore delle classiche preparazioni orali in quanto riesce a passare rapidamente lo stomaco. La quantità di levodopa presente nel sangue è fortemente influenzata dalla presenza degli inibitori della DOPA-decarbossilasi (carbidopa e benserazide) che però non ne modificano l’emivita. Gli inibitori delle COMT, invece, oltre a limitare il catabolismo periferico della levodopa ne aumentano l’emivita e l’AUC (Fig. 3). Le formulazioni oggi disponibili di levodopa contengono l’inibitore DDC ma è anche disponibile una formulazione contenente l’inibitore COMT entacapone.

Gli inibitori COMT
Ad oggi esistono due inibitori delle COMT in commercio, il tolcapone e l’entacapone. Studi di farmacocinetica hanno dimostrato un aumento significativo dell’AUC e del C-max dopo somministrazione di entrambi questi farmaci (Tab. 2). La prima classe di inibitori COMT risale agli anni ‘50 e non trovò applicazione clinica a causa della scarsa selettività, della loro tossicità e del profilo farmacocinetico sfavorevole. Bisogna attendere gli anni ’90 per la seconda generazione degli inibitori delle COMT con l’approvazione del tolcapone nel 1997. Il tolcapone, un inibitore reversibile delle COMT con azione periferica e in parte centrale, approvato nel 1997, si era dimostrato molto efficace nel ridurre il tempo di OFF in pazienti parkinsoniani con fluttuazioni motorie al dosaggio di 100 mg e 200 mg tre volte al giorno. Al dosaggio di 600 mg/die, il tolcapone aveva portato a una riduzione di 98 minuti del tempo di OFF rispetto al placebo, determinando anche una riduzione, di circa il 30%, dei dosaggi di levodopa. Nel 1998 quattro pazienti in terapia con tolcapone svilupparono una grave epatopatia che causò la morte di tre di essi. Il farmaco fu quindi sospeso dal commercio nel 1998 e reintrodotto nel 2004 con importanti limitazioni, fra queste l’obbligo di monitorare settimanalmente la funzionalità epatica nei pazienti in trattamento. Altri specifici effetti collaterali del tolcapone sono la discolorazione delle urine e la diarrea. Anche entacapone, inibitore reversibile ad azione periferica, approvato nel 1998, appartiene alla secon- da generazione degli inibitori COMT. L’entacapone ha un’emivita più breve del tolcapone e va quindi somministrato insieme a ogni dose di levodopa, fatto reso poi più semplice dalla tripla combinazione (levodopa-carbidopa-entacapone) in un’unica compressa.

L’entacapone è un inibitore COMT, meno potente del tolcapone, che inibisce circa il 45-65% delle COMT eritrocitarie e negli studi clinici ha indotto una riduzione del tempo di OFF di 41 minuti (Fig. 4). L’entacapone non ha obbligo di monitoraggio della funzione epatica, ma causa comunque discolorazione delle urine e diarrea. La terza generazione dei COMT è rappresentata dall’opicapone, farmaco recentemente approvato dall’EMA e dall’AIFA. Si tratta di un nuovo potente inibitore delle COMT a lunga emivita che può quindi essere somministrato una sola volta al giorno, preferibilmente la sera.
Efficacia clinica dell’opicapone
Studi di fase III
Il programma di fase III si è basato su due studi di larga scala, multicentrici, randomizzati, in doppio-cieco, con un anno di estensione in aperto, condotti su 1.027 pazienti con MP, trattati con levodopa (con o senza altri farmaci antiparkinsoniani) e con fluttuazioni motorie. La prima sperimentazione, BIPARK I, è uno studio randomizzato, controllato con placebo e controllo attivo, condotto con tre dosi di opicapone (5, 25 e 50 mg una volta al giorno), come terapia aggiuntiva a levodopa. Il controllo attivo è stato con entacapone (200 mg aggiunto a ogni somministrazione di levodopa), e l’end-point primario è stato il cambiamento assoluto del tempo di OFF dal basale alla fine dello studio. Secondo l’analisi gerarchica, il gruppo trattato con opicapone da 50 mg ha mostrato un’efficacia costante e ha raggiunto l’end-point primario di superiorità rispetto al placebo e di non-inferiorità rispetto all’entacapone nella riduzione del tempo di OFF. La riduzione media del tempo di OFF è stata di 117 minuti rispetto al basale, e di 60,8 minuti rispetto al placebo (p = 0,0016), in un contesto nel quale la risposta al placebo è stata molto alta (0,9 h) (Fig. 5). È importante il fatto che questa riduzione corrisponde ad un incremento del tempo di ON senza un aumento di discinesie problematiche. L’utilizzo dell’entacapone come controllo attivo non solo valida i risultati dello studio (confermando la nota efficacia dell’entacapone su questa popolazione di pazienti), ma aiuta anche a capire meglio le potenziali differenze tra i due farmaci. La valutazione dello stato di salute generale, utilizzando la scala CGI (Global Impression of Change) da parte del paziente e da parte del clinico, indica un miglioramento clinicamente significativo per l’opicapone a 50 mg, sia rispetto a placebo (clinico, p = 0,0005, paziente, p = 0,0008) che rispetto a entacapone (clinico, p = 0,0070, paziente, p = 0,0091). Inoltre, i pazienti stratificati per la diminuzione del tempo di OFF (riduzione > 1 ora; 70% dei pazienti) e l’incremento del tempo di ON (aumento > 1 ora; < 65% dei pazienti) sono risultati significativamente maggiori per l’opicapone a 50 mg rispetto al placebo (tempo di OFF, p = 0,0011, tempo di ON, p = 0,0028), mentre questo non è stato evidenziato per l’entacapone.

Nel secondo studio, BIPARK II, studio multicentrico, randomizzato, in doppio-cieco, controllato con placebo, senza controllo attivo, l’opicapone a 50 mg ha portato ad una riduzione media del tempo di OFF di 2 ore rispetto al basale, e di circa 54 minuti rispetto il placebo, dove la risposta al placebo, come nel BIPARK I, è stata molto alta (-1,1 h) (Fig. 5). Il corrispondente aumento della fase ON si è verificato senza discinesie invalidanti e i pazienti che hanno raggiunto l’end-point con una riduzione del tempo di OFF > 1 ora sono stati il 66% (p = 0,0088 rispetto al placebo). Il cambiamento dei valori dell’UPDRS dal basale è stato modesto e simile in tutti i gruppi in entrambi gli studi. Questo, probabilmente, è motivato dal fatto che i pazienti stavano già da tempo ricevendo levodopa come terapia per il controllo dei sintomi, e risultati analoghi erano già evidenziati nei precedenti studi con inibitori COMT. I risultati di questi due studi sono consistenti e provano che la dose di opicapone più efficace è quella a 50 mg, anche se alcuni pazienti raggiungono un beneficio anche a 25 mg. La similitudine dei due studi (per disegno, criteri di idoneità e metodiche di valutazione) permette di analizzare alcuni aspetti in maniera congiunta. Su 241 pazienti trattati con 25 mg e 262 pazienti trattati con 50 mg, vi è una significativa riduzione del tempo di OFF (-37,4 e -64,4 minuti rispetto a placebo, 255 pazienti; p < 0,05 e p < 0,0001 rispettivamente) e un significativo aumento del tempo di ON senza discinesie invalidanti (42,7 e 64,7 minuti rispetto a placebo, 255 pazienti; p < 0,05 e p < 0,0001 rispettivamente). Non ci sono invece differenze significative nel tempo di ON con discinesie invalidanti (Figg. 5-7). I risultati della fase di estensione in aperto indicano sostanzialmente un mantenimento dell’effetto. In entrambi gli studi, la riduzione del tempo di OFF dal basale della fase in doppio cieco è proseguita o addirittura in-
crementata nella fase in aperto. L’estensione del BIPARK II sembra indicare un beneficio nell’utilizzo più precoce dell’opicapone; i risultati alla fine della fase in aperto sono più positivi nel gruppo assegnato subito all’opicapone rispetto al gruppo originariamente assegnato al placebo. Nella fase di estensione del BIPARK I, i pazienti che passano dal trattamento con l’entacapone nella fase del doppio cieco all’opicapone nella fase in aperto, hanno un’ulteriore riduzione del tempo di OFF che risulta statisticamente significativa (-39,3 minuti, p < 0,05), con un consecutivo incremento del tempo di ON senza discinesie (45,7 minuti, p = 0,0148). Alla fine della fase in aperto di un anno, la media del tempo di OFF risulta simile, indipendentemente dall’allocazione nella fase in cieco. Ulteriore supporto dell’effetto positivo a lungo termine del trattamento con l’opicapone viene dalle valutazioni della funzione globale percepita sia dal paziente che dallo sperimentatore, che si mantiene dalla fine del doppio cieco a tutto l’anno di studio in aperto. Infine, se si osserva la dose di levodopa, che in accordo con i protocolli

poteva essere aggiustata a seconda delle necessità cliniche, si evince che almeno due terzi dei pazienti (63%) hanno mantenuto lo stesso dosaggio dell’inizio studio e che la media di somministrazioni della levodopa è variata di poco, da 4,69 a 4,76 fino al termine dell’anno in aperto (Fig. 8).

Sicurezza e tollerabilità
Durante tutto il programma di sviluppo, l’opicapone è stato somministrato (considerando dosi singole o ripetute) a un totale di 1.651 soggetti: 859 soggetti sani e 792 con MP. In tutti gli studi, l’opicapone è risultato generalmente ben tollerato, senza un’apparente relazione tra dosaggio e eventi avversi emergenti. Gli studi sui volontari sani hanno confermato che il dosaggio a 50 mg di opicapone non è associato ad alterazioni della ripolariz-
zazione cardiaca, misurata con l’intervallo QTc, né ad altre variazioni significative dell’ECG o dei parametri vitali, né a significative variazioni nei parametri ematologici, ematochimici o urinari. Alcuni studi di fase I hanno mostrato che la contemporanea somministrazione di paracetamolo può causare una significativa diminuzione dei metaboliti dell’opicapone, ma non altera il profilo di tollerabilità nei volontari sani. Allo stesso modo negli studi di fase II e III, condotti sui pazienti con MP, resta un consistente profilo di buona tollerabilità, anche se l’incidenza di effetti collaterali nel gruppo in opicapone è maggiore rispetto al placebo. La percentuale di pazienti che hanno interrotto il trattamento è invece bassa e simile in tutti i gruppi, con un alto tasso di mantenimento dalla fase in doppio cieco a quella in aperto, a supporto di una buona tollerabilità anche sui periodi lunghi. Negli studi in doppio cieco, i più comuni effetti collaterali riportati nel gruppo in opicapone rispetto al placebo sono stati: discinesie, costipazione, insonnia, bocca secca, vertigini e incremento delle CPK ematiche. Anche se estremamente ben tollerato nei pazienti più anziani, gli eventi avversi sono stati più frequenti nella fascia di età > 70 anni. Comparando il gruppo di pazienti sopra e sotto i 70 anni, l’incidenza si modifica: costipazione (8,5% vs. 4,5%), vertigini (7,2% vs. 2,2%), allucinazioni (5,2% vs. 0,6%), nausea (5,2% vs. 3,1%), e dimagrimento (4,6% vs. 1,1%). Passando nella fase in aperto, l’incidenza dei più comuni effetti collaterali resta pressoché la stessa. Nell’estensione del BIPARK II si rileva un incremento delle cadute e della depressione, in linea con il peggioramento della malattia. In particolare si evidenzia che, anche l’aumento di CPK ematiche, passa dal 4,9% dei soggetti nel gruppo in opicapone a 50 mg al 7,4% di tutti i soggetti nella fase di estensione. Le discinesie sono state l’evento avverso, in relazione con il farmaco in studio, con più alta incidenza, presente nel 17,7% del gruppo trattato con opicapone, nel 6,2% del gruppo trattato con placebo e nel 7,4% del gruppo trattato con entacapone. Questo è in linea con una più potente inibizione delle COMT dell’opicapone rispetto all’entacapone, che determina una maggiore biodisponibilità della levodopa. Ad oggi non esiste un protocollo relativo alla possibile modifica del dosaggio di levodopa quando si somministra opicapone; è comunque raccomandato di seguire i pazienti nelle prime due settimane di trattamento e di ridurre eventualmente la levodopa se presenti discinesie problematiche. Un aspetto di particolare interesse nello studio degli inibitori COMT è la sicurezza epatica, che tanto ha limitato l’utilizzo del tolcapone e di altri inibitori COMT in sviluppo. È quindi importante che in tutti gli studi non risulti un incremento di disturbi epatici con l’opicapone: nel complesso, l’incidenza globale correlata al farmaco di problemi epatici è più bassa nel gruppo opicapone rispetto al gruppo placebo (1,2% vs. 3,1%); non ci sono modifiche rilevanti nei parametri epatici tra il basale e la fine del trattamento, e nessun evento avverso grave è stato descritto in riferimento a problemi epatici. Analogamente, l’utilizzo dell’entacapone è stato limitato in alcuni pazienti dall’insorgenza di diarrea importante. Nello studio BIPARK I, il più comune evento avverso che ha portato all’esclusione di pazienti dallo studio è stato proprio la diarrea (2 pazienti in entacapone, 1 in placebo e nessuno in opicapone). Con l’opicapone, inoltre, non si verifica il fenomeno della colorazione arancione delle urine, dei denti o delle unghie. Per quanto riguarda l’incidenza di fenomeni legati al controllo degli impulsi, così come tutti i farmaci dopaminergici, anche l’opicapone è associato ad un incremento di questi eventi: nello studio BIPARK I l’incidenza è stata maggiore nel gruppo entacapone (8,2%), seguita dal gruppo opicapone (6,2%) e placebo (4,1%). I disturbi maggiormente riferiti sono stati lo shopping compulsivo e l’ipersessualità. Infine, è importante notare che la maggior parte dei pazienti con MP in stadio avanzato assume terapie complesse con molti farmaci (ad esempio I-MAO e DA agonisti). Il profilo di tollerabilità dell’opicapone è sostanzialmente identico sia nei pazienti trattati solo con levodopa che nei pazienti trattati con altri farmaci concomitanti, supportando il ruolo dell’opicapone nell’approccio polifarmacologico.
Conclusioni
La levodopa rimane il farmaco imprescindibile nella terapia della malattia di Parkinson ma il suo utilizzo è accompagnato da fluttuazioni motorie e non motorie e discinesie. Per migliorare le fluttuazioni e dare ai pazienti una maggiore stabilità e una terapia più prevedibile ed affidabile, diversi farmaci sono stati sperimentati ed introdotti nella pratica clinica. Fra questi gli inibitori delle COMT, enzima responsabile del catabolismo della levodopa. Tolcapone ed entacapone hanno dato buoni risultati ma il tolcapone oggi può essere utilizzato sottoponendo i pazienti ad un continuo monitoraggio degli enzimi epatici. Entacapone deve essere dispensato con ogni somministrazione di levodopa e può indurre discolorazione delle urine e diarrea. Opicapone rappresenta la terza generazione dei COMTI. Nei trial clinici ha dimostrato di essere efficace nel migliorare le fluttuazioni, riducendo significativamente il tempo di OFF. Il farmaco è ben tollerato, viene somministrato una sola volta al giorno e non induce diarrea e discolorazione delle urine. Aspetto ancora più importante, in tutti gli studi non sono stati segnalati eventi avversi di natura epatica con l’opicapone e, nel complesso, l’incidenza globale correlata al farmaco di problemi epatici è più bassa nel gruppo in opicapone rispetto al placebo. Non ci sono modifiche rilevanti nei parametri epatici tra il basale e alla fine del trattamento, e nessun evento avverso serio è stato descritto in riferimento a problemi epatici.
