N.2 – Anno 1 – Settembre 2017
Epilessia nell’anziano: efficacia di Zebinix (eslicarbazepina acetato) in un caso farmacoresistente
Paolo Bonanni
UO Epilessia e Neurofisiologia Clinica, IRCCS “E. Medea”,
Polo di Conegliano (TV)
Introduzione
Le crisi epilettiche nella popolazione anziana sono il sintomo neurologico più frequente dopo i disturbi cerebrovascolari e le demenze. Gli studi epidemiologici dimostrano un picco di incidenza dell’epilessia dai 65 anni in poi. Il tasso stimato dell’incidenza dell’epilessia attiva in Europa (n. nuovi casi/100.000/anno) è di 100 casi in soggetti con età > 65 anni contro i 70 casi in bambini/adolescenti, e i 30 nei giovani/adulti. Se si considera inoltre solo la popolazione superiore agli 80 anni, il tasso di incidenza raggiunge i 130 nuovi casi/100.000/anno. Se ne deduce quindi che, con l’aumento dell’età media di vita, i nuovi casi di epilessia in soggetti anziani saranno sempre maggiori. L’etiologia dell’epilessia è in genere sintomatica, in correlazione soprattutto con i disturbi cerebrovascolari, sia acuti che cronici (25-35%). Altre più rare cause di epilessia nell’anziano sono i tumori cerebrali (sia primitivi che secondari) e i fattori tossico/dismetabolici (alcolismo, utilizzo/sospensione di farmaci psicotropi, disfunzioni tiroidee, squilibri idro-elettrolitici, ipo-iperglicemia, etc). Meno frequentemente rispetto ai giovani-adulti l’epilessia negli anziani è causata da traumi cranici e da fattori infettivo-infiammatori3,4. Il rischio di sviluppare un’epilessia è anche più frequente negli anziani con sindromi demenziali. Infine, esiste la possibilità che nell’anziano compaiano tardivamente crisi epilettiche generalizzate su base idiopatica, a volte sotto forma di stato epilettico non convulsivo (stato di assenza de novo). Le cause dell’epilessia nell’anziano restano comunque del tutto sconosciute nel 25-30% dei casi. La scelta della terapia antiepilettica (AE) nell’anziano con epilessia deve rispettare alcuni criteri importanti. Oltre a prefiggersi il controllo delle crisi, deve tenere conto anche di altri due obiettivi fondamentali, cioè quelli di non determinare eventi avversi e di migliorare la qualità di vita. Per ottenere successo occorre scegliere un farmaco che non interagisca con altri, che possa raggiungere rapidamente la dose terapeutica, che non si leghi in modo determinante alle proteine plasmatiche, che non venga metabolizzato per via epatica, che sia somministrabile solo una o al massimo due volte al dì, che non richieda indagini di laboratorio di monitoraggio, che abbia un profilo di tollerabilità (oltre che di efficacia) eccellente, che non provochi deficit della funzione cognitiva e che determini anzi effetti benefici sulla sfera psichica. Le differenze farmacocinetiche sono le maggiori responsabili della minore tollerabilità dei farmaci AE nell’anziano per cui, per evitare eccessiva sedazione o tossicità, è necessario iniziare il trattamento con basse dosi e proseguire con una titration lenta: “start slow and go slow”! Recentemente in uno studio real life è stata dimostrata l’efficacia e la buona tollerabilità della eslicarbazepina acetato in pazienti anziani con epilessia focale. Di seguito, presentiamo il caso di una paziente anziana con epilessia focale sintomatica farmacoresistente che ha mostrato una significativa riduzione delle crisi con netto miglioramento della qualità di vita dopo introduzione di eslicarbazepina acetato.

Caso clinico
Si tratta di una donna di 66 anni che all’età di 56 ha presentato degli episodi parossistici caratterizzati da ridotta responsività, “tremore” ed irrigidimento diffusi, sguardo fisso o deviato lateralmente (non noto il lato), morsus, non rilascio sfinteriale. Gli episodi erano presenti sia in veglia che in sonno, di durata di alcuni minuti. La frequenza era inizialmente sporadica (1 episodio/anno). Unico dato anamnestico significativo, l’intervento di asportazione di un meningioma frontale (manifestato improvvisamente con segni di ipertensione endocranica) all’età di 51 anni. La paziente è stata sottoposta a periodici controlli neuroradiologici che hanno documentato una stabilità del quadro post-intervento. Progressivamente, viene osservato un incremento delle crisi in sonno (2 al mese) e si assiste alla comparsa di crisi definite “minori”, in veglia, con tremore agli arti superiori, alterazione della responsività, talora emissione di vocalizzo (“come se dovesse parlare”), riduzione dell’attività, talora comportamento
disorganizzato/afinalistico, della durata di alcuni minuti, seguiti da sonno ed amnesia dell’evento. La frequenza era quotidiana-plurisettimanale. Dal punto di vista terapeutico, poco tempo dopo l’insorgenza delle crisi, si è iniziata una terapia con levetiracetam, sospeso per effetti collaterali (irrita-
bilità, ideazione suicidaria, insonnia), sostituito da acido valproico, con remissione degli episodi critici in sonno. Gli episodi diurni si sono mantenuti con frequenza invariata, con parziale modifica delle caratteristiche delle crisi, in quanto la paziente sarebbe stata in grado di ricordare i sintomi iniziali della manifestazione (sensazione di calore, tachicardia, talora malessere e senso di disorientamento, difficoltà di eloquio con morso della parte anteriore della lingua), a cui sarebbe seguita alterazione dello stato comportamentale con ridotta attività motoria e ridotta responsività agli stimoli, e successiva sonnolenza, talora cefalea. Un controllo di risonanza magnetica (RM) encefalo con m.d.c. nel 2013 evidenziava alterazioni del segnale in sede frontale bilateralmente riferibili ad esiti dell’intervento, in assenza di lesioni con caratteri di attività (Fig. 1). Da segnalare, inoltre, una lieve atrofia cerebrale. Effettuati alcuni tentativi terapeutici falliti per inefficacia (zonisamide) o per la comparsa di effetti collaterali (carbamazepina e oxcarbazepina che causano diplopia e dispercezioni visive). Viene tentata una biterapia aggiungendo all’acido valproico la lacosamide che induce un tremore dell’emisoma destro presente a riposo e durante il movimento, con andamento variabile. Nel 2014, viene effettuata una TAC cranio di controllo con m.d.c., che non documenta modifiche del quadro neuroradiologico. Inoltre, nel corso degli ultimi 3 anni si è manifestata una sindrome depressiva trattata con venlafaxina cloridrato e segni di coinvolgimento extrapiramidale associati al tremore, quali rallentamento motorio e riduzione della mimica facciale.

Compaiono inoltre episodi confusionali di breve durata, in concomitanza dei quali la paziente si rivolge al marito come se fosse un’altra persona (uno zio ora deceduto), affermando di vederlo e sentire la sua voce. Non sonnolenza o cefalea successivamente agli episodi, non riferiti episodi dispercettivi/allucinatori quando la paziente è da sola. Nello stesso periodo è stato introdotto clobazam (10 mg la sera), in aggiunta all’acido valproico e alla lacosamide, con controllo delle manifestazioni critiche ma concomitante comparsa di un importante disturbo dell’equilibrio e ipostenia con riduzione del tono dell’umore. Il farmaco è stato progressivamente ridotto a 5 mg e 2,5 mg; in assenza di significative modifiche è stato definitivamente sospeso, con miglioramento almeno parziale dell’equilibrio. All’età di 63 anni, la paziente è stata presa in carico presso il nostro Centro ed è stata effettuata una registrazione con monitoraggio VEEG prolungato al fine di registrare gli episodi critici ed eventualmente differenziare quelli di natura epilettica da eventuali altri di natura non epilettica. L’EEG intercritico mostrava, in veglia, ricorrenza di anomalie a tipo di P e PO di medio-ampio voltaggio interessanti in modo prevalente la regione frontale e fronto-temporale dell’emisfero sinistro, frammiste a componenti lente in banda theta. Si osservavano talora parossismi indipendenti di minor voltaggio a carico della regione frontale di destra. Erano riconoscibili inoltre sequenze di attività theta a carico delle due regioni frontali, con prevalenza sinistra. In sonno erano riconoscibili anomalie focali sulla regione fronto-temporale sinistra, ed anomalie indipendenti a carico della regione frontale destra, in assenza di significativa attivazione. In aggiunta, si osservava una regolare organizzazione in fasi e cicli del sonno con normale presenza di grafoelementi ipnici fisiologici. Venivano registrati, in veglia, alcuni episodi critici (4 in totale) caratterizzati dalla comparsa di una scarica di attività rapida interessante la regione fronto-temporale dell’emisfero sinistro, tendente a diffondere alle regioni contigue dell’emisfero omolaterale, di durata non superiore a 30-40 secondi (Fig. 2), associata sul piano clinico ad alterazione dello stato comportamentale con arresto-riduzione dell’attività ed afasia associata, sul piano soggettivo, a sensazione di calore, quindi confusione-disorientamento, seguite da sensazione di spossatezza, talora cefalea e sonnolenza nel periodo post-critico. All’esame neurologico, la paziente appariva collaborativa, orientata sul sé e nello spazio-tempo. La marcia era priva di grossolane note patologiche. Frequenti aggiustamenti posturali alla manovra di Romberg. Non chiari deficit di tono e stenia. ROT simmetrici. Non clono né Babinski. Non chiare dismetrie. Tremore agli arti superiori ed inferiori di destra, presente a riposo e durante il movimento, con andamento variabile. Impressione di ridotta mimica facciale e lentezza dei movimenti sequenziali della mano (meglio valutabili a destra). NNCC esplorabili apparentemente indenni. Veniva posta indicazione alla progressiva riduzione di lacosamide con modesta riduzione del tremore. Dopo la sospensione della lacosamide, è stata introdotta eslicarbazepina acetato, alla posologia di 800mg/die la sera (400 mg/die per 1 mese) in aggiunta ad acido valproico (2 gr/die). Già dopo il primo mese di trattamento è stata osservata una progressiva riduzione degli episodi critici in veglia, da quotidiani sono divenuti mensili, e successivamente sporadici con periodi liberi da crisi di alcuni mesi. Gli esami ematochimici, in particolare transaminasi ed elettroliti, sono nella norma. L’umore è significativamente migliorato e sono scomparsi gli episodi di confusione mentale. In considerazione dell’elevato livello plasmatico dell’acido valproico (100 mg/mL), il farmaco è stato ridotto del 50% con netta riduzione del tremore degli arti. All’ultimo follow-up, avvenuto all’età di 65 anni, l’esame neurologico ha evidenziato un lieve peggioramento della marcia, caratterizzata da instabilità nei cambi di direzione, riduzione dei movimenti di accompagnamento degli AASS, difficoltosa su punte e talloni per mancanza di equilibrio, non possibile in tandem. Nel 2016 viene ripetuta una RM encefalo con m.d.c sovrapponibile alla precedente per quanto concerne gli esiti dell’intervento chirurgico, ma con una lieve progressione nell’atrofia cerebrale. La paziente mantiene un buon controllo dell’epilessia con significativo miglioramento della qualità di vita grazie anche alla riduzione degli effetti collaterali dei farmaci e al miglioramento dei sintomi psichiatrici.
Conclusioni
Nell’anziano la diagnosi di epilessia è particolarmente difficile per problemi di varia natura:
- L’anziano spesso non sa descrivere bene i sintomi e non collabora all’iter diagnostico per concomitanti disturbi cognitivo-comportamentali.
- L’incidenza della misdiagnosi di epilessia nella popolazione anziana è particolarmente rilevante (> 30%), soprattutto a causa di disturbi della sfera cognitiva, stati confusionali, disturbi mnesici, sincopi, disturbi cerebrovascolari transitori, disturbi del sonno, etc. Varie segnalazioni di letteratura hanno evidenziato che le manifestazioni critiche non convulsive (senza una componente motoria rilevante) sono scambiate per “confusione mentale” e inquadrate in senso epilettico solo dopo alcuni giorni dal loro esordio.
- Il soggetto anziano raramente viene visto in prima istanza dall’epilettologo. Inoltre, anche l’accesso alle indagini diagnostiche di prima scelta (neuroimmagini, EEG) non sempre è agevole e talvolta non è nemmeno proponibile, sia per ragioni pratiche che per deficit di collaborazione all’esecuzione dell’esame stesso.
Tutte queste problematiche sono emerse nella storia della nostra paziente ed effettivamente solo con il monitoraggio VEEG a lungo termine abbiamo potuto porre una corretta diagnosi di epilessia focale sintomatica a partenza dalle regioni frontali dove la RM ha evidenziato gli esiti dell’intervento chirurgico per asportazione del tumore. L’approccio terapeutico nel paziente anziano con epilessia deve tener conto di molti fattori, ma soprattutto delle patologie e dei trattamenti concomitanti. Nella nostra paziente molti farmaci antiepilettici sono stati provati senza risultare efficaci o con effetti collaterali non tollerabili. Inoltre, tra le varie comorbidità, era presente anche un’alterazione importante del tono dell’umore. Sulla base di questi fattori, ma anche per le sue proprietà farmacocinetiche che consentono la monodose serale, è stato scelto di inserire in terapia l’eslicarbazepina acetato. Con questo farmaco è stato ottenuto un controllo quasi completo delle crisi senza effetti collaterali rilevanti al dosaggio minimo di 800 mg/die Di conseguenza la qualità di vita della paziente è nettamente migliorata. La paziente sta ancora assumendo venlafaxina, ma il tono dell’umore è molto migliorato ed è in programma una sua riduzione. Un dato interessante è che la paziente aveva provato in passato sia la carbamazepina che l’oxcarbazepina e aveva dovuto sospenderli per diplopia e dispercezioni visive. Questi effetti collaterali non si sono presentati con la eslicarbazepina acetato confermando la migliore tollerabilità di quest’ultimo farmaco. Oltre all’eslicarbazepina acetato non erano stati provati nemmeno farmaci induttori di vecchia generazione, come il barbiturico e la fenitoina, e AE di nuova generazione, come il topiramato e la lamotrigina. I farmaci induttori-enzimatici sono stati esclusi poiché possono determinare vari effetti a livello multisistemico, interferendo in maniera significativa con il metabolismo epatico e quello osseo, la conduzione atrio-ventricolare, l’apparato emopoietico, etc. Il topiramato, soprattutto ad alte dosi, è responsabile di parestesie, diminuzione di peso, deficit cognitivi e della sfera espressiva. Inoltre può indurre o favorire la litiasi renale. La lamotrigina è stata esclusa poiché poteva indurre un’attivazione eccessiva, con insonnia. Da segnalare inoltre che il migliore controllo delle crisi raggiunto con eslicarbazepina acetato ha permesso la riduzione dell’acido valproico con conseguente netta riduzione del tremore degli arti e degli altri sintomi motori ritenuti su base extrapiramidale. In conclusione, il nostro caso clinico dimostra come l’epilessia dell’anziano abbia molte caratteristiche peculiari che pongono importanti problematiche diagnostiche e terapeutiche. Nella nostra paziente eslicarbazepina acetato si è dimostrata efficace e ben tollerata confermando quanto già riportato in letteratura. Nel soggetto anziano più che in altre età della vita è necessario che la terapia AE sia tagliata “su misura” a seconda dell’individuo.
